Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di webmaster (del 23/06/2007 @ 19:06:17, in ART, linkato 1314 volte)
...Una delle mie prime illustrazioni che ho fatto ascoltando le confessioni di un malandrino...più di dieci anni fa credo. L'ho ritrovato in fondo ad un cassetto...
Maria
(Particolare)
IL TRIONFO DELLA MORTE
di Alessandro Simonetti.
Per motivi di lavoro ho vissuto alcuni anni a Bologna, durante questo periodo fui piacevolmente “costretto” ad avvicinare opere memorabili di artisti “maggiori” e “minori” e a manipolarle con , non nego, grande orgoglio misto ad una notevole “fifa” datami dalla responsabilità di operare per salvare l’estro e l’idea di chi, molti secoli prima, aveva avuto l’intenzione di comunicare un messaggio, attraverso un codice sublime ma vittima dello scorrere del tempo. In uno dei miei tanti sopralluoghi in san Giacomo Maggiore, tra le impalcature e le polveri, osservai un grande spazio libero presente nella cappella Bentivoglio, non vi era alcuna indicazione circa la tela che lo occupava… Ritornai al mio lavoro e, successivamente, cercando uno dei collaboratori, passai per uno stretto corridoi laterale, oscuro e ostile a causa dei materiali depositati, quando, in una cappella secondaria, adagiato contro una parete, mi apparve, immenso, il Trionfo della morte, opera a me “saccente” quasi del tutto sconosciuta. Rimasi molto tempo a contemplare la tela e , magicamente, in me risuonavano le note del “Ballo in Fa diesis minore” di Branduardi. La Morte Regina, sedeva in trono, con la falce per corona, e ci ammoniva, me e i personaggi, della sua potenza e della sua necessità. Tutti nella circonferenza del tempo e del cielo a lei ci inchiniamo e, pur se falsi indifferenti, evitiamo di guardarla in faccia, l’inganniamo con il gioco e il suono, nella speranza che dimentichi il suo ruolo… ma Lei di tutti noi è “signora e padrona”, è maestra e misura della finitezza degli egoismi e dell’immensità dell’amore, dominatrice assoluta della Fine a cui l’uomo ha risposto con l’eternità dell’arte e dell’armonia. Il tema del trionfo della morte è possibile rintracciarlo nelle arti figurative della fine del XIII, del XIV, del XV e del XVI secolo. Molto interessanti, a questo proposito, sono gli affreschi della cappella inferiore del monastero di San Benedetto a Subiaco , dove si trova anche uno delle prime raffigurazioni, ritenuta originalissima, di san Francesco d’Assisi. Buona ricerca!
Lorenzo Costa: “Trionfo della morte” -1490.
Lorenzo Costa (Ferrara 1460 ca. – Mantova 1535), pittore italiano, formatosi alla scuola ferrarese, dal 1483 lavorò a Bologna. Gli anni dal 1488 al 1490 rappresentano il periodo di maggiore attività artistica del pittore, proprio in questi anni gli furono commissionate da Giacomo II Bentivoglio le grandi tele per la cappella di famiglia presso la chiesa di San Giacomo Maggiore: Madonna in trono adorata dalla famiglia del committente (che occupa lo spazio centrale corrispondente all’altare della cappella) – Trionfo della fama (su un lato) – Trionfo della Morte (direttamente sul lato opposto al Trionfo della fama). La colta, classicistica e “inquieta” produzione dell’artista, lo porta ad operare presso i maggiori committenti del periodo, ma, stranamente, dopo la caduta dei Bentivoglio, dopo essersi trasferito a Mantova ed aver lavorato per lo Studiolo dell’illuminata Isabella d’Este, il Costa vede inaridirsi la sua vena creativa e dopo il 1525 non dipinse più…
Di webmaster (del 06/07/2007 @ 17:54:27, in ART, linkato 3319 volte)
Am 21.07.2007 kam ich nach Bad Pyrmont,dem schönen Orte und finde nach dem ergreifenden Konzert nicht die rechten Worte.Es ist für mich noch wie ein Traum doch es ist wahr ich war da!!!!!!!!!
liebe Grüße,Ina
Introduzione:
“La riscoperta”
Sono stato da sempre un grande ammiratore ed ascoltatore di Angelo Branduardi, la sua musica ha fatto da colonna sonora ai miei pomeriggi “di studio (quasi) matto e disperatissimo” ai tempi dell’università e al mio lavoro nei cantieri al chiuso degli edifici da restaurare o nel caotico stanzone che faceva da studio e da casa negli anni del mio apprendistato di promettente architetto.
Mia moglie, tra l’altro, “somigliava” alle evanescenti e misteriose figure femminili del magico universo branduardiano, nel bene e nel male mi appariva tenera e leggiadra e… superba e crudele!
C’è stata una fase nella mia vita in cui avevo messo da parte la mia sfera emotiva e sognatrice catturato dal pragmatismo cronico degli anni ’80 e ’90 e pungolato dalla sempre più pressante esigenza della mia famiglia di apparire al top.
Poi, come nel gioco sasso - carta - forbice, non so con quale mossa, ma io, insieme al mio destino, ho compiuto un bel capitombolo per ritrovare me stesso e, lo dico, per tornare ad essere felice.
Oggi che vado attraversando quella mezza età tanto denigrata, io mi sento come un nuovo fanciullo curioso della vita, nei miei occhi rivedo lo stesso bagliore che mi faceva cogliere tutto il mondo in un foro nel muro o nella linea dell’orizzonte.
In questo “oggi” della mia vita, buona parte ha avuto la riscoperta, per caso, della musica di Branduardi.
Questo lungo brano racconta di un giorno nell’ormai lontano 2003, quando mi imbattei nell’occhio di Laila:
CONFESSIONI DI UNO SCALPELLINO Bologna è vivibile anche se gli autobus sono in sciopero, da via Saffi a via Irnerio il cammino è piacevole ma non breve in una pallida mattina di marzo, un’afa quasi estiva io cammino sudando nel giaccone acquistato in saldo a febbraio ripieno per metà di piume di oche non di primo starnazzo e penso, mentre i piedi scansano qualche traccia di cane sul marciapiede insano, alle piume seminate dal mio peregrinare per la strada… Di venerdì lavoro meno, solo poche ore, contavo di arrivare prima per non fare fila al discount alimentare… D’altra parte che cosa ho da fare! Mi piace osservare la gente che mi osserva, sono ancora un uomo, di una bellezza che gira intorno alla cinquantina: alto, slanciato, brizzolato, fisico asciutto da una non buana credenza e da una scarsa frequenza dell’arte della cucina. Al mio occhio di consumato artigiano esperto restauratore, operaio degli altrui capolavori, la luce di oggi pare essere infedele, bianca e sognante, inquietante, e a me sembra oggi di sognare tra le nuvole dei gas di scarico e i rumori amici della città che mi accoglie e scuote. Mi scrollo dalle spalle il brivido di un ricordo e, aspettando l’omino verde delle lanterne moderne, mi specchio nella vetrina traboccante di scarpe: a stento riconosco il marito di mia moglie senza lo smalto dato da capi firmati da ignoti autori, rifilati da sottomesse mani di Singapore, che trasudano cifre esorbitanti e appariscenza a dispetto di quanti faticano a tenere in piedi una semplice credenza. Il trillo del verde semaforico mi ridesta e riprendo il cammino , oggi spero che i piedi miei guidino i miei passi giacchè la mente va verso l’ignoto. Mi sorride una fanciulla, ripenso ai miei figli di cui sono ormai solo un lontano genitore di cui non hanno tempo di parlare tra masters di lingua e di economia, si sono buttati a capofitto nel progresso per stare al passo e per non perdere il lusso per cui la madre ha tanto faticato; se mi ripasso i loro volti vedo solo una forte mano di smalto che li tiene sempre in rigida posa in un sorriso terrificante di soddisfazione nella truce ambizione di essere i primi ed i migliori… temo di aver contribuito con il mio seme a generare dei mostri che mi hanno già divorato, scusate la mia presunzione ma mi sento un novello Crono che ha smesso di maciullare . M’hanno bloccato e intimorito gli sguardi di estrema sufficienza della donna a cui per amore io fui marito, non so per quale intruglio o qualsivoglia doglia nel tempo ha trasformato il tenero nido d’amore restaurato nel vecchio podere di mio padre in una superbe villa di ostentato splendore e anche la sua primigenia bellezza si è evoluta in una maschera di efficiente perfezione a cui io facevo da contorno, cavaliere servente e principe consorte, non servivo nemmeno più da antipasto nei discorsi… non ricordo chi mi affidò la parte di starmene in disparte ma, io che so essere solo un bravo scalpellino, non bruciavo di ambizione mentre lei, sempre più distante, scalava le vette più ambite degli incarichi nelle Belle Arti, il colle del prestigio cattedratico, i volumi patinati delle pubblicazioni a tirature sempre più limitate con incisioni dorate riempivano gli scaffali buoni del salone. E io portavo uno, due, tre alla volta nel garage o nella cantina la nostra, la mia vita di prima… poi come uno sparviero sopraggiunse il potere. Onorevoli e senatori, assessori e consiglieri a pranzo e a cena ogni sera, ed io mi annoiavo di parole ma facevo la mia bella figura nei completi di lino e nelle rughe dell’abbronzatura, sorridevo a stento e per un certo tempo mi salvò l’ironia tra le olive del Martini e gli sguardi sboccati di donne ostentate come trofei, come nuove polene messe alla barche o alle brache. Infine mi pesò il riso e mi giunse serio il voltastomaco tipico del mal di mare dell’ipocrisia, l’indice di quella troppo perfetta donna mi additava e mi accusava dei suoi insuccessi, occorreva fare largo, fare posto ad un dramma familiare per dare credito politico alla sua figura, serviva un capro espiatorio ed io ho sperato almeno di non aver del caprone le corna… Non so poi come avvenne ma un giorno mandai tutto a monte e tornai nel piccolo borgo dove passavo l’estate con le cicale e con i nonni, adesso l’estate non c’era ma respiravo il fumo del camino e riconobbi tra le pieghe del suo viso un antico amore consunto da lutti e dolori, non mi fermai però a lungo per non rimanere invischiato nelle tela di un nuovo labirinto tracciato dai segni disperati di anime inquiete. Presi un’altra direzione e giunsi ad oggi in questa nuova vita, in una stanza ammobiliata dei padri dehoniani, per amico tutto il mondo e il collega Arita che mi affianca silenzioso nei soliloqui indifferenti che mi sorride quando declino la mie amarezze con il vino… Mi fermo e osservo dall’altra parte del marciapiede uno strano manifesto, un occhio strano mi scruta, mi avvicino, leggo la data ,l’ora e il dove e poi mi avvio. “C’è al Medica il concerto di Brandurdi:”dico e Arita che verrà dice. Quella sera ci diamo appuntamento davanti all’albergo Cristallo atmosfera da giallo, io con il mio cellulare di scarsa batteria a stento comprendo la via, Arita ha una vecchia buona macchina e già l’ha parcheggiata è abbastanza turbato o per vedermi in tiro: giacca, cravatta in tono, soprabito di pelle lungo alla matrix in prestito da Del Buono; faccio ancora la mia figura, ma Arita sostiene che faccio veramente impressione per come sono alto e dimagrito o, forse è preoccupato perché nella comune cucina ridendo gli dissi che avrei posato l’indomani mattina una rosa rossa sul suo cuscino e gli avrei dato un lieve bacio sulla fronte stempiata prima di lasciare la camera doppia economica e condivisa per il grande evento. L’inserviente ci sorride, mi mette in mano una chiave con un blocco di cristallo fasullo come le sue allusioni a due signori abbastanza distinti che prendono una camera in albergo senza per forza essere amanti… io faccio finta di niente sono emozionato molto e dopo molto tempo, Arita sempre più rigido impreca contro le mattonelle che non sono decisamente di suo gradimento. Il teatro è al completo, io ho preso i posti buoni, a sinistra, terza fila dopo la stampa, vicino a me una coppia giovane. Dopo l’annuncio il sipario si apre e appare tra una nuvola bianca di tulle, una luna d’argento e il cantore seduto quasi in terra che mi racconta…, per due ore ho percorso il mio cammino, ho ritrovato tutti i sapori che la rabbia e l’accidia mi avevano attutito, la ragazza a me vicino si commuove, io mi vergogno, perché sono grandicello e per Arita, ma piangerei anch’io… Alla fine per strada come un mulino a parlare, la felicità ha sapore di neve e forza di vento… poi Arita si addormentò sulle mie parole, io non chiusi occhio pensavo e lacrimavo alla musica, alle parole, all’esperienza, vivo, come una fanciulla innamorata. Il mattino arrivò a ritrovarmi ad aspettare il 13 in via Ugo Bassi, il sole riscaldava la mia faccia felice, pensavo ai commenti dei colleghi al cantiere quando mi avrebbero visto arrivare tra i calcinacci e gli intonaci dei rilievi con un tale vestito. Mentre si parte sorrido pensando ad Arita, cercherà invano la rossa rosa sul cuscino… e l’umore di un bacio sulla fronte avita! A. Simonetti
Nella nebbia
Ma da quanto non sono più qui Da quanto il mio pensiero più non vola Un secco inchiostro avvolge la mia penna…… Un arido deserto prende il sopravvento su un mare sempre più sterile…… Ma da tanto il sole non sorge e da troppo la luna non splende…… ………e da sempre la mia anima non ha pace…… Nulla può la luce di un faro contro la fitta nebbia che l’avvolge……
Maluan
Di webmaster (del 21/08/2007 @ 20:12:49, in ART, linkato 1271 volte)
Il quadro ispirato dalla musica di Branduardi dal titolo "Sublimare e organizzare" ed è eseguito da Matteo Quadalti - Via della costa 7 - 47015 Modigliana FC
………leggo e rileggo un libro di poesie……
……è come guardare le foto sbiadite del passato……le sensazioni sono impresse sulla pellicola del tempo, così fragile che persino una goccia di rugiada potrebbe danneggiare……volto le pagine sfiorandole come fossero i seni di un dolce amante……
e affiorano i ricordi……ed emergono le emozioni e tutto attorno prende vita……canti, risa, pianti……… corse sulla sabbia tiepida……ed un mare che tutto vede e che tutto annota, imprigionando nella memoria delle sue chiare acque le immagini tremolanti di due figure che si baciano ……
……e poi il sole……splendente, bianco………bianco come il soffitto che adesso osservo mentre nella stanza torna il silenzio……
ripongo il libro nella biblioteca del cuore e mi ricongiungo con i fantasmi della realtà
……e con essi aspetto……
Maluan
Canto dell’Anima
Salvami, o Re, dal silente dolore, salva il mio senno dal cieco rancore.
Dall’uomo che crede d’esser spoglia immortale e disperde l’amore come pioggia sul mare.
L’anima offesa continua a soffrire, riportando ferite che non riesce a guarire.
Un dolce canto mi opprime per il ricordo evocato di gaudio trascorso, in pena mutato.
Paola, 8 gennaio 2001
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