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Intervista ad
Angelo Branduardi del 1987, di Massimo
Giuliani
In giro per l’Europa con W. B. Yeats: intervista radiofonica del 1986 ad Angelodi Max Giuliani
Quello che segue è il resoconto di un’esperienza di quasi vent’anni fa, quando facevo la radio a L’Aquila, nella città dove sono nato e dove ho vissuto per ventisei anni. Approfitto per salutare tutti i compagni di strada della radio di quegli anni gloriosi, in particolare Enrico, che quel giorno era con me. Al contrario di molti di noi, ha fatto della radio il suo lavoro: oggi credo sia dalle parti di Napoli, ma non l’ho più sentito. Chissà che la pubblicazione di questo documento su www.branduardi.info non sia un’occasione per ritrovarci…
Max: Ciao, Angelo. Sei lì in tournée, naturalmente… Angelo: Sì! M: Come sta andando questo giro? A: Bene, è agli inizi ma sta andando bene. M: Sei ancora con lo spettacolo acustico di “Branduardi canta Yeats”? A: Sì, sì, eccome! E anche qui lascia perplessi in senso buono. La gente viene numerosa e anche se all’inizio non capisce bene, insomma, sia a livello di critica che popolare riscuotiamo un bel successo. M: Ho visto che hai un bel calendario in Germania…
A: Sì, in Germania e anche in Francia, sono due mesi in tutto.
Due mesi appena iniziati, abbiamo fatto quattro date in Svizzera, ne
facciamo tre qui in Austria, poi i tre concerti a Berlino Est e poi
inizia M: Ti confesso che per buttare giù qualche appunto per questa chiacchierata ho avuto qualche problema… mi rendo conto che è difficile aggiungere alla tua musica parole o discorsi. Però vedo che ha un ottimo rapporto con l’immagine e con il cinema in particolare: vuoi parlarci di Momo, l’ultimo film che hai musicato? A: Sì! Qui in Germania è già uscito da un paio di mesi. Come forse saprai, è anche campione di incassi, una soddisfazione grande. In Italia esce all’inizio di novembre. Io amo molto scrivere per il cinema, come amerei, anche se ancora non l’ho fatto, scrivere per il teatro. O al limite per il balletto, se fosse possibile. Amo, come vedi, quello che non ha a che vedere soltanto con la canzone. È bello scrivere musica per film, perché innanzitutto è un rapporto dove non conta soltanto il cantante o musicista che sia, ma è una specie di lavoro d’équipe che comprende tanta di quella gente – ed è evidentemente tanto più grande un film di una canzone, sia come costi che per altri ovvi motivi – che è bello sentirsi parte di altra gente che lavora con te, se ci vai d’accordo. E ti toglie anche un po’ quella responsabilità del disco, che, insomma, mi ha un tantino seccato. Ed è bello perché scrivi per immagini, quindi mi riesce paradossalmente più facile, anche se è tecnicamente più complesso. Quando suoni, chiudi gli occhi e vedi delle cose: se non le vedi, te le devi immaginare. Lì, invece, tu vedi già. Poi su persone particolarmente emotive come sono i musicisti, queste immagini se sono belle hanno una forza e un impatto veramente molto forte. M: Al di là del cinema, mi ricordo di essermi fatto un’idea del tuo rapporto con l’immagine vedendoti in concerto. Ho avuto modo di vedere diversi tuoi spettacoli, mi ricordo un concerto incredibile a Torino con la prima Carovana del Mediterraneo... A: Ah! M: …fu un concerto molto bello, grandioso. A vedere certi tuoi spettacoli, a correrti dietro per l’Europa per telefono, si ha l’impressione di un’organizzazione ciclopica che hai dietro le spalle. E invece, a sentire i tuoi dischi, come “Branduardi canta Yeats”, si ha ancora quella bellissima impressione di “umile artigiano”, come tu stesso ami definirti… A: Comunque guarda che il periodo delle superproduzioni è strafinito. Non so se hai visto il concerto di Yeats, acustico… M: Ahimé, ancora no! A: …ti renderesti conto che è completamente diverso. È un quartetto acustico che suona in una spoglia ma efficace dimensione teatrale, “dove meno c’è, più c’è”! Noo, tutto ciò che riguarda la superorganizzazione del rock and roll… non rinnego nulla, eh!, ma per quello che mi riguarda – per quello che riguarda me, insomma – è una cosa che appartiene alla storia. M: Come mai questo cambio di direzione? A: Mah, così…! Non c’è niente di tragico né di rivoluzionario, uno segue determinati, come dire?, impulsi, ma non solo impulsi. Gli artisti cambiano come cambia la gente normale, ecco tutto. Non c’è un come mai. M: A proposito del tuo passato, ho sempre amato molto un disco che forse è il meno conosciuto dei tuoi, il primo. A: Ah! Quello del ’73? M: Sì, quello del ’73 o ’74. Come ricordi quel periodo, dal quale sono cambiate tante cose? Come ricordi quel disco? A: Bah… era il mio debutto, quindi era una cosa per me particolarmente importante, anche molto eccitante. Io a quei tempi ero giovanissimo, ed ero convinto di essere il più bravo di tutti. Per cui ero convinto che se non piaceva era perché gli altri non capivano! E questo è normale, perché un giovane adolescente queste cose le pensa, è anche una molla per portarlo a raggiungere determinati traguardi… Poi, l’età fa la differenza: la differenza tra allora e adesso sta nel fatto che non sono più convinto di essere il migliore del mondo, anche se so di essere musicalmente meglio adesso di allora. Però con l’età ti accorgi che più sai, meno sai: e infatti mi sono rimesso a studiare, che è una delle cose più importanti che io stia facendo adesso. M: Dalla tua musica, anche a cominciare da quel primo disco, emerge un certo senso religioso. Sei una persona religiosa? A: Mmhhhh… guarda, non saprei cosa dirti, francamente. Non lo sono, si dice normalmente ‘non lo sono in maniera osservante’, e sarà anche così. Credo di avere avuto da piccolo problemi non dico religiosi, ma insomma i soliti problemi che travagliano gli adolescenti quando si vuole sapere perché e percome. Com’è giusto. Problemi enormi che mi hanno portato a fare filosofia all’università nella speranza di capire, di quadrare il cerchio. Io oggi di fronte a questi grossi problemi risulto un po’ agnostico, nel senso che grandi soluzioni non ne vedo, purtroppo o per fortuna, a portata di mano. Per cui resto più sul piccolo, sul concreto. Non credo di avere una religiosità spiccata, francamente, comunque non è qualcosa che mi attira. Però è evidente che se, come è vero – perché mi è stato chiesto francamente molte altre volte – risulta in quello che io scrivo un’aria di “religiosità”, che poi è più che altro una specie di senso quasi anarchico, o di tolleranza, potrebbe darsi che io l’abbia senza saperlo! M: Ci pensavo anche rivedendo in TV, di recente, “State buoni se potete”… A: Beh, no, quella è un’altra cosa. È un film basato su un personaggio storico. Pensavo che ti riferissi ai testi delle mie canzoni… M: …non solo. A: “State buoni se potete” è un bellissimo film di Magni che parla di un santo: ma non ha importanza che sia un santo, era in realtà un uomo – a modo suo – rivoluzionario. Va letto in questa chiave quel film, non come la messa beat… M: Ultima domanda: hai in mente di venire dalle nostre parti col tuo spettacolo? A: Mah, ti dirò francamente la verità. Ora sto via due mesi, che per me è un periodo lunghissimo, perché crescendo ho il problema di stare lontano dalla famiglia, ecco. Quindi questi due mesi sono tanti. Quando tornerò, all’inizio di dicembre, ci penserò, comunque se vengo non sarà immediato. Non prendetevela a male, ma… insomma, sto già via molto! M: Ti ringrazio. Siete stati incredibili tutti quanti, speriamo di risentirci. A: Va bene! Ciao, grazie.
Max Giuliani
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