Di webmaster (del 21/08/2007 @ 20:22:07, in ITALIANO, linkato 1037 volte)
………leggo e rileggo un libro di poesie……
……è come guardare le foto sbiadite del passato……le sensazioni sono impresse sulla pellicola del tempo, così fragile che persino una goccia di rugiada potrebbe danneggiare……volto le pagine sfiorandole come fossero i seni di un dolce amante……
e affiorano i ricordi……ed emergono le emozioni e tutto attorno prende vita……canti, risa, pianti……… corse sulla sabbia tiepida……ed un mare che tutto vede e che tutto annota, imprigionando nella memoria delle sue chiare acque le immagini tremolanti di due figure che si baciano ……
……e poi il sole……splendente, bianco………bianco come il soffitto che adesso osservo mentre nella stanza torna il silenzio……
ripongo il libro nella biblioteca del cuore e mi ricongiungo con i fantasmi della realtà
Di webmaster (del 21/08/2007 @ 20:10:17, in ITALIANO, linkato 981 volte)
Nella nebbia
Ma da quanto non sono più qui Da quanto il mio pensiero più non vola Un secco inchiostro avvolge la mia penna…… Un arido deserto prende il sopravvento su un mare sempre più sterile…… Ma da tanto il sole non sorge e da troppo la luna non splende…… ………e da sempre la mia anima non ha pace…… Nulla può la luce di un faro contro la fitta nebbia che l’avvolge……
Di webmaster (del 17/08/2007 @ 11:49:37, in ITALIANO, linkato 1177 volte)
Introduzione:
“La riscoperta”
Sono stato da sempre un grande ammiratore ed ascoltatore di Angelo Branduardi, la sua musica ha fatto da colonna sonora ai miei pomeriggi “di studio (quasi) matto e disperatissimo” ai tempi dell’università e al mio lavoro nei cantieri al chiuso degli edifici da restaurare o nel caotico stanzone che faceva da studio e da casa negli anni del mio apprendistato di promettente architetto.
Mia moglie, tra l’altro, “somigliava” alle evanescenti e misteriose figure femminili del magico universo branduardiano, nel bene e nel male mi appariva tenera e leggiadra e… superba e crudele!
C’è stata una fase nella mia vita in cui avevo messo da parte la mia sfera emotiva e sognatrice catturato dal pragmatismo cronico degli anni ’80 e ’90 e pungolato dalla sempre più pressante esigenza della mia famiglia di apparire al top.
Poi, come nel gioco sasso - carta - forbice, non so con quale mossa, ma io, insieme al mio destino, ho compiuto un bel capitombolo per ritrovare me stesso e, lo dico, per tornare ad essere felice.
Oggi che vado attraversando quella mezza età tanto denigrata, io mi sento come un nuovo fanciullo curioso della vita, nei miei occhi rivedo lo stesso bagliore che mi faceva cogliere tutto il mondo in un foro nel muro o nella linea dell’orizzonte.
In questo “oggi” della mia vita, buona parte ha avuto la riscoperta, per caso, della musica di Branduardi.
Questo lungo brano racconta di un giorno nell’ormai lontano 2003, quando mi imbattei nell’occhio di Laila:
CONFESSIONI DI UNO SCALPELLINO Bologna è vivibile anche se gli autobus sono in sciopero, da via Saffi a via Irnerio il cammino è piacevole ma non breve in una pallida mattina di marzo, un’afa quasi estiva io cammino sudando nel giaccone acquistato in saldo a febbraio ripieno per metà di piume di oche non di primo starnazzo e penso, mentre i piedi scansano qualche traccia di cane sul marciapiede insano, alle piume seminate dal mio peregrinare per la strada… Di venerdì lavoro meno, solo poche ore, contavo di arrivare prima per non fare fila al discount alimentare… D’altra parte che cosa ho da fare! Mi piace osservare la gente che mi osserva, sono ancora un uomo, di una bellezza che gira intorno alla cinquantina: alto, slanciato, brizzolato, fisico asciutto da una non buana credenza e da una scarsa frequenza dell’arte della cucina. Al mio occhio di consumato artigiano esperto restauratore, operaio degli altrui capolavori, la luce di oggi pare essere infedele, bianca e sognante, inquietante, e a me sembra oggi di sognare tra le nuvole dei gas di scarico e i rumori amici della città che mi accoglie e scuote. Mi scrollo dalle spalle il brivido di un ricordo e, aspettando l’omino verde delle lanterne moderne, mi specchio nella vetrina traboccante di scarpe: a stento riconosco il marito di mia moglie senza lo smalto dato da capi firmati da ignoti autori, rifilati da sottomesse mani di Singapore, che trasudano cifre esorbitanti e appariscenza a dispetto di quanti faticano a tenere in piedi una semplice credenza. Il trillo del verde semaforico mi ridesta e riprendo il cammino , oggi spero che i piedi miei guidino i miei passi giacchè la mente va verso l’ignoto. Mi sorride una fanciulla, ripenso ai miei figli di cui sono ormai solo un lontano genitore di cui non hanno tempo di parlare tra masters di lingua e di economia, si sono buttati a capofitto nel progresso per stare al passo e per non perdere il lusso per cui la madre ha tanto faticato; se mi ripasso i loro volti vedo solo una forte mano di smalto che li tiene sempre in rigida posa in un sorriso terrificante di soddisfazione nella truce ambizione di essere i primi ed i migliori… temo di aver contribuito con il mio seme a generare dei mostri che mi hanno già divorato, scusate la mia presunzione ma mi sento un novello Crono che ha smesso di maciullare . M’hanno bloccato e intimorito gli sguardi di estrema sufficienza della donna a cui per amore io fui marito, non so per quale intruglio o qualsivoglia doglia nel tempo ha trasformato il tenero nido d’amore restaurato nel vecchio podere di mio padre in una superbe villa di ostentato splendore e anche la sua primigenia bellezza si è evoluta in una maschera di efficiente perfezione a cui io facevo da contorno, cavaliere servente e principe consorte, non servivo nemmeno più da antipasto nei discorsi… non ricordo chi mi affidò la parte di starmene in disparte ma, io che so essere solo un bravo scalpellino, non bruciavo di ambizione mentre lei, sempre più distante, scalava le vette più ambite degli incarichi nelle Belle Arti, il colle del prestigio cattedratico, i volumi patinati delle pubblicazioni a tirature sempre più limitate con incisioni dorate riempivano gli scaffali buoni del salone. E io portavo uno, due, tre alla volta nel garage o nella cantina la nostra, la mia vita di prima… poi come uno sparviero sopraggiunse il potere. Onorevoli e senatori, assessori e consiglieri a pranzo e a cena ogni sera, ed io mi annoiavo di parole ma facevo la mia bella figura nei completi di lino e nelle rughe dell’abbronzatura, sorridevo a stento e per un certo tempo mi salvò l’ironia tra le olive del Martini e gli sguardi sboccati di donne ostentate come trofei, come nuove polene messe alla barche o alle brache. Infine mi pesò il riso e mi giunse serio il voltastomaco tipico del mal di mare dell’ipocrisia, l’indice di quella troppo perfetta donna mi additava e mi accusava dei suoi insuccessi, occorreva fare largo, fare posto ad un dramma familiare per dare credito politico alla sua figura, serviva un capro espiatorio ed io ho sperato almeno di non aver del caprone le corna… Non so poi come avvenne ma un giorno mandai tutto a monte e tornai nel piccolo borgo dove passavo l’estate con le cicale e con i nonni, adesso l’estate non c’era ma respiravo il fumo del camino e riconobbi tra le pieghe del suo viso un antico amore consunto da lutti e dolori, non mi fermai però a lungo per non rimanere invischiato nelle tela di un nuovo labirinto tracciato dai segni disperati di anime inquiete. Presi un’altra direzione e giunsi ad oggi in questa nuova vita, in una stanza ammobiliata dei padri dehoniani, per amico tutto il mondo e il collega Arita che mi affianca silenzioso nei soliloqui indifferenti che mi sorride quando declino la mie amarezze con il vino… Mi fermo e osservo dall’altra parte del marciapiede uno strano manifesto, un occhio strano mi scruta, mi avvicino, leggo la data ,l’ora e il dove e poi mi avvio. “C’è al Medica il concerto di Brandurdi:”dico e Arita che verrà dice. Quella sera ci diamo appuntamento davanti all’albergo Cristallo atmosfera da giallo, io con il mio cellulare di scarsa batteria a stento comprendo la via, Arita ha una vecchia buona macchina e già l’ha parcheggiata è abbastanza turbato o per vedermi in tiro: giacca, cravatta in tono, soprabito di pelle lungo alla matrix in prestito da Del Buono; faccio ancora la mia figura, ma Arita sostiene che faccio veramente impressione per come sono alto e dimagrito o, forse è preoccupato perché nella comune cucina ridendo gli dissi che avrei posato l’indomani mattina una rosa rossa sul suo cuscino e gli avrei dato un lieve bacio sulla fronte stempiata prima di lasciare la camera doppia economica e condivisa per il grande evento. L’inserviente ci sorride, mi mette in mano una chiave con un blocco di cristallo fasullo come le sue allusioni a due signori abbastanza distinti che prendono una camera in albergo senza per forza essere amanti… io faccio finta di niente sono emozionato molto e dopo molto tempo, Arita sempre più rigido impreca contro le mattonelle che non sono decisamente di suo gradimento. Il teatro è al completo, io ho preso i posti buoni, a sinistra, terza fila dopo la stampa, vicino a me una coppia giovane. Dopo l’annuncio il sipario si apre e appare tra una nuvola bianca di tulle, una luna d’argento e il cantore seduto quasi in terra che mi racconta…, per due ore ho percorso il mio cammino, ho ritrovato tutti i sapori che la rabbia e l’accidia mi avevano attutito, la ragazza a me vicino si commuove, io mi vergogno, perché sono grandicello e per Arita, ma piangerei anch’io… Alla fine per strada come un mulino a parlare, la felicità ha sapore di neve e forza di vento… poi Arita si addormentò sulle mie parole, io non chiusi occhio pensavo e lacrimavo alla musica, alle parole, all’esperienza, vivo, come una fanciulla innamorata. Il mattino arrivò a ritrovarmi ad aspettare il 13 in via Ugo Bassi, il sole riscaldava la mia faccia felice, pensavo ai commenti dei colleghi al cantiere quando mi avrebbero visto arrivare tra i calcinacci e gli intonaci dei rilievi con un tale vestito. Mentre si parte sorrido pensando ad Arita, cercherà invano la rossa rosa sul cuscino… e l’umore di un bacio sulla fronte avita!
Di webmaster (del 27/06/2007 @ 12:00:21, in ITALIANO, linkato 1231 volte)
IL TRIONFO DELLA MORTE
di Alessandro Simonetti.
Per motivi di lavoro ho vissuto alcuni anni a Bologna, durante questo periodo fui piacevolmente “costretto” ad avvicinare opere memorabili di artisti “maggiori” e “minori” e a manipolarle con , non nego, grande orgoglio misto ad una notevole “fifa” datami dalla responsabilità di operare per salvare l’estro e l’idea di chi, molti secoli prima, aveva avuto l’intenzione di comunicare un messaggio, attraverso un codice sublime ma vittima dello scorrere del tempo. In uno dei miei tanti sopralluoghi in san Giacomo Maggiore, tra le impalcature e le polveri, osservai un grande spazio libero presente nella cappella Bentivoglio, non vi era alcuna indicazione circa la tela che lo occupava… Ritornai al mio lavoro e, successivamente, cercando uno dei collaboratori, passai per uno stretto corridoi laterale, oscuro e ostile a causa dei materiali depositati, quando, in una cappella secondaria, adagiato contro una parete, mi apparve, immenso, il Trionfo della morte, opera a me “saccente” quasi del tutto sconosciuta. Rimasi molto tempo a contemplare la tela e , magicamente, in me risuonavano le note del “Ballo in Fa diesis minore” di Branduardi. La Morte Regina, sedeva in trono, con la falce per corona, e ci ammoniva, me e i personaggi, della sua potenza e della sua necessità. Tutti nella circonferenza del tempo e del cielo a lei ci inchiniamo e, pur se falsi indifferenti, evitiamo di guardarla in faccia, l’inganniamo con il gioco e il suono, nella speranza che dimentichi il suo ruolo… ma Lei di tutti noi è “signora e padrona”, è maestra e misura della finitezza degli egoismi e dell’immensità dell’amore, dominatrice assoluta della Fine a cui l’uomo ha risposto con l’eternità dell’arte e dell’armonia. Il tema del trionfo della morte è possibile rintracciarlo nelle arti figurative della fine del XIII, del XIV, del XV e del XVI secolo. Molto interessanti, a questo proposito, sono gli affreschi della cappella inferiore del monastero di San Benedetto a Subiaco , dove si trova anche uno delle prime raffigurazioni, ritenuta originalissima, di san Francesco d’Assisi. Buona ricerca!
Lorenzo Costa: “Trionfo della morte” -1490.
Lorenzo Costa (Ferrara 1460 ca. – Mantova 1535), pittore italiano, formatosi alla scuola ferrarese, dal 1483 lavorò a Bologna. Gli anni dal 1488 al 1490 rappresentano il periodo di maggiore attività artistica del pittore, proprio in questi anni gli furono commissionate da Giacomo II Bentivoglio le grandi tele per la cappella di famiglia presso la chiesa di San Giacomo Maggiore: Madonna in trono adorata dalla famiglia del committente (che occupa lo spazio centrale corrispondente all’altare della cappella) – Trionfo della fama (su un lato) – Trionfo della Morte (direttamente sul lato opposto al Trionfo della fama). La colta, classicistica e “inquieta” produzione dell’artista, lo porta ad operare presso i maggiori committenti del periodo, ma, stranamente, dopo la caduta dei Bentivoglio, dopo essersi trasferito a Mantova ed aver lavorato per lo Studiolo dell’illuminata Isabella d’Este, il Costa vede inaridirsi la sua vena creativa e dopo il 1525 non dipinse più…
Di webmaster (del 20/06/2007 @ 23:38:02, in ITALIANO, linkato 1235 volte)
"Il cammino verso Santiago". Santiago de Compostela ha rappresentato, in un'epoca ormai troppo lontana, uno dei centri più importanti della Cristianità; doveroso per ogni buon cristiano, era l'intraprendere il santo pellegrinaggio che, attraverso vari popoli e terre , giungeva alla città santa dove, si dice, riposino le spoglie di San Giacomo (Sant 'Jago o Sant'Iago in lingua ispanico-portoghese). II viaggio periglioso e lungo, spesso senza mezzi per scelta di penitenza o per necessità, si concludeva alle volte della magnifica cattedrale, dove quel che restava dei pellegrini sconvolti e stravolti da tale impresa, spesso si trovavano a danzare e cantare versi e musiche non completamente sacre. Vicinissima alla Città Santa si trova Finisterre, il mitico luogo dove il mondo finisce... Sicuramente, per quei tempi, la prospettiva di un tale viaggio era priva di un progetto di ritorno, pertanto i pellegrini vivevano, consapevoli dei rischi che si correvano, l'esperienza di un percorso dove certa era la meta ma insicuro il passaggio e allora nella dimensione di un eterno presente, incominciavano a vivere solo il viaggio, giorno per giorno, passo dopo passo, e una nuova vita, nella quale, spesso, abbandonando i soliti ruoli e le convenzioni urbane, si scoprivano uomini liberi e vivi di una nuova santità. Ascoltando Calenda Maia in Futuro Antico I, è possibile cogliere le innumerevoli sfumature del clima emotivo, morale e, soprattutto umano, che si realizzava nel pellegrinaggio verso Santiago: insieme ai santi danzavano la càbala, l'alchimia, i guaritori, i mercanti, i ciarlatani, gli spiriti, i demoni, i vecchi e i nuovi dei degli uomini.
IL CAMMINO VERSO SANTIAGO
Se ho ascoltato le lente cantilene di vecchi borghi affumicati d’inverno E ho camminato tutti i sassi malmessi per strade assolate d’estate, Se ho respirato ogni profumo tiepido di primavera, È stato per arrivare in un autunno generoso di colori arrossati E per trovare lo scopo di un viaggio pensato e immaginato, Nella visione di un miracoloso spettacolo di luci e di fuochi Che rendono chiara anche la più scura notte sul sagrato della cattedrale In fila i normali e, come animali, quelli che non sanno più andare. Il bello del mio viaggio è stato solo viaggiare Percorrere le affinità mutevoli dei popoli Che come un grande mare si muovono Sciogliendosi in molteplici voci e nuovi altari. Tra tutti quelli che partirono molti si disorientarono E nella religione persero la ragione e finirono per diventare Nuovi diavoli e inseguirono le forme pregevoli di femmine e denari, gli stessi demoni da cui fuggirono li ritrovarono ad aspettare con musici magnifici con canti strofici e ritmi alternati a ballare le danze popolari le profezie e i rimedi pagani per sanare le piaghe, dentro ai sandali, di piedi sanguinanti… Io mi ricordo le immagini di volti di fanciulle, che prima erano vergini, sorridermi e uccidermi i sonni disturbati da incubi frenetici di inferni soliti e di nuovi peccati appresi ed imparati per queste strane strade sdrucciolevoli di umori intimi e di misericordie acquistate con monete penitenti dei potenti che ci affliggono con gli zoccoli del loro pellegrinare inutile verso il luogo dove si ratifica la vendita della perfezione ultima che è stata già pagata da mille e mille poveri collocati, per l’eterno, in un paradiso umile, come un mite inferno, per fare posto, negli Inferi, agli eretici, ai poetici che gridano rivoluzioni e fanno male ai popoli, per cui, è utile che cantino, ai redenti reggenti, inni serafici, destrieri fotonici, che li spingono nell’empireo e tra i cori angelici a riflettere la luce di quello stesso Dio che invece ha sudato un calvario per raggiungere un trono altissimo crociato simbolo di gloria per innalzare noi che così umili chiediamo l’elemosina di vivere …. Santiago compie il miracolo di scoprirmi piccolo e inutile nel sapermi vivo e vegeto e voler incidere nella storia… Alla fine felice? Inconsapevole a meta raggiunta! Non conosco quelli dei miracoli, ma ogni tanto gridano e tutti gli altri credono ai monaci e dopo tutto anch’io forse solo per l’unguento e il mite companatico insipido che aggiusta il digiuno nell’anima e nello stomaco rimbombano gli echi mistici dei cantici e i lamenti tipici degli acciacchi cronici che soffre chi riprende il solito itinerario per percorrere il ritorno a quella vita ordinaria da cui siamo fuggiti in cerca del miracolo per sanare l’anima dall’accidia e dall’invidia per chi afferra la sorte e non litiga un misero salario e gode delle favole, camminando tra le nuvole…
A. Simonetti
STELLA MATUTINA - Musica tratta dal "Libro Vermeil", eseguita da Angelo Branduardi
Di webmaster (del 15/06/2007 @ 21:17:51, in ITALIANO, linkato 938 volte)
Questa volta si tratta della signora Bovary, che ha percorso gli audaci sentieri borghesi e l'intrepido perbenismo ottocentesco, per affermare il suo diritto alla felicità e, come tante altre figure femminili dell'universo branduardiano, alla fine sorvola e supera i confini del bene e del male per essere una tipologia di personaggio eterno.
Alessandro Simonetti.
INFINE
Emma è morta! Aveva già scritto il suo finale D’arsenico amaro, rabbia e disillusione. Ha avuto ragione della sua corsa e della sua vita inventata, è arrivata sola, prima e ha detto basta. La sua recita era ormai degenerata In uno squallido spettacolo ordinario E ogni suo calendario segnava un anno in più Di solitudine e di malinconia. Emma portava in giro un baule pieno d’illusioni E impegnava a caro prezzo ogni sogno e aspirazione Di vivere una vita non banale E del farsi male giocava il rischio. E male te ne sei fatta fino in fondo… Ma a te è piaciuto cucire amore ad amore, passione a passione egoismo e tenerezza, e così hai ordito il canovaccio scucito che è stata la tua vita. Ora con gli occhi chiusi, distesa su un letto normale, d’intorno contano le tue ragioni o i tuoi mali, li ascolti? Dispiacere, rabbia, dolore, indifferenza e il ”ben ti sta”, sono queste le condoglianze che incensano la tua sera! Se ogni fiore che nasce sbocciando tra i sassi Sapesse quanto, il suo esser bello, gli costa e Pagar caro, alla luce e all’arsura del deserto, il tributo, ripiegherebbe nella terra scura e a nessuno mostrerebbe la sua corona… ma la natura gli impone lo stare dritto e manifesto, l’esporsi al cielo, al vento, alle tempeste, agli insetti, agli uomini e alle cose… e così si aspetta e spera in cose belle: d’esser ben raccolto e mai calpestato, d’essere un fiore sempre amato. Infine, se nessuno lo porta via, passato il giorno, insieme, il fiore declina nella comune fine. Tu, Emma, hai scelto il tuo compianto E ne hai avuto vanto nelle tiepide albe della primavera, negli odorosi respiri di maggio, tu ancora sei viva, anima amante dei sogni e delle speranze.
Di webmaster (del 25/05/2007 @ 11:37:49, in ITALIANO, linkato 987 volte)
IL MARE E LA MONTAGNA
A me, invece, piace il mare e lo dico a braccia aperte col vento in poppa e il sole caldo, in piedi verso di te che mi porti su sentieri e ti seguo inerpicata e insicura mentre raggiungi le tue vette.
A me, invece, piace il mare e lo dicono i miei occhi distese limpide e infinite percorse da onde vigorose, a te che, invece, sei montagna e mi aggiri tra fronde ombrose e sprazzi di sole e poi m’insegui, precedendomi, su pietre irregolari con piede certo; e io mi lascio cadere e mi rialzo mentre ti vedo raggiungere l’altura e impadronirti del tuo infinito, intanto io incespico ed è sempre dopo il quando ti raggiungo!
E a me, invece, piace il mare tempestosa calma e furioso equilibrio, complicata semplicità dell’orizzonte, vele di vento e colori di legno i miei pensieri in me e per te che ami specchiarti nel cielo e sulla cima e non vedi che, già dietro, sono ancora più lontana e mi specchio nel mare del cielo, piccola, perché parte dell’infinito… A me, invece, piace il mare…
Di webmaster (del 25/05/2007 @ 10:47:11, in ITALIANO, linkato 1344 volte)
MI FA IL VERSO LA CORNACCHIA NERA
E’ passata la pioggia a lasciare violento il profumo della terra, dalla balaustra sul cortile il giardino è ancora umido di grigio.
Come vento di aria bagnata, fresco e imbrattato di nuvola, all’altezza dello stomaco sento la sospensione: l’intima malinconia che accompagna l’anima inquieta.
Il verso della cornacchia nera deride i miei pensieri, mi scuote dal vuoto torpore del viaggio appena intrapreso e già finito nel mondo del mio infinito.
Una nausea mi assale della mia inadeguatezza, della mia irragionevolezza, della mia persistente tristezza… e di nuovo sento quella stessa ansia inurlata!
Ma il verso della cornacchia nera divide i miei pensieri: ieri per ieri, oggi per oggi, a paio a paio, ad uno ad uno e poi basta… mi ridesto da un sonno mai dormito.
La mia vita trascorsa sempre di lato senza mai guardare dritto in faccia ogni cornacchia nera...
E quella ride dei miei pensieri, mi riconosce per come sono ed ero a metà tra il vetro e la balaustra a guardare il tempo che fa.
Di webmaster (del 25/05/2007 @ 10:44:47, in ITALIANO, linkato 1167 volte)
Quello che cerco Qui o ovunque Nell’immensità dei cieli o nel cortile di una casa di campagna Quello che cerco troverò Al termine di una lunga strada o dietro un vicolo buio Quello che cerco troverò Cosa ancora non so Ma sono sicuro che sarà lì ad aspettarmi